Gli Arctic Monkeys hanno fatto il loro inaspettato secondo capolavoro. Così bello, maturo e sofisticato nell'esercizio di stili da rendere giustificabile anche il male che Richard Hawley da una parte, Josh Homme dall'altra, sembravano aver procurato loro dopo il debutto. L'America da luogo di esplorazione si trasforma in terra di adozione (
One For The Road e
Fireside). Là è inciso; la produzione è perfetta: il basso di Nick O'Malley in primissimo piano (
Do I Wanna Know?), la ritmica di Matt Helders quella della band che stampava magliette con l'immagine di una batteria (
R U Mine?). Qualcuno scrive che le chitarre son calate. In
Arabella (la migliore) Jamie Cook suona come se Iommi fosse entrato negli Zeppelin.
I Want It All è glam per la festa.
N.1 Party Anthem mostra che Alex Turner ha finalmente superato Hawley e canta diritto verso qualcosa che sta tra gli Smiths e i Blur.
Mad Sounds è il soul che i Primal Scream non possono più,
Snap It Out il rhythm,
Why'd You Only Call Me When You're High? l'hip-hop che i bianchi non devono rappare
. Knee Socks non sono neanche gli Arctics.
I Wanna Be Yours resterà!
"AM" è un disco straordinario, la responsabilità della sopravvivenza del rock britannico contemporaneo è qui.
D'ora in poi per gli Arctic Monkeys sarà possibile davvero tutto. Anche niente.
10/10