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Dopo le folle avrebbero cantato all'unisono solo per i Coldplay (sigh!).
Ho dato volume a Jarvis. Più volume. Ancora di più. La presenza di Richard Hawley mi è parsa meno invadente e l'influenza parigina, attuale residenza del nostro chic-hero, meno pericolosa. Ho sentito le atmosfere dei Pulp (c'è pure Mackey). Ho iniziato ad affezionarmici e ho capito che dopo tante tribolazioni questo è il miglior disco che Jarvis Cocker poteva produrre da solista. Nè nostalgico nè fastidiosamente maturo.
L'iniziale "Don't Let Him Waste You Time" è più efficace che nella versione di Nancy Sinatra per cui l'aveva scritta. "Black Magic" e "Fat Children" sono glam rock quanto Jarvis non era mai stato prima.
Poi, da "From A to I" (from Auschwitz to Ipswitch) a "Quantum Theory", il disco diventa più intimo e delicato. Meno facile, in quella parte che mi era inizialmente risultata deludente.
E' là che si nasconde l'altra parte del gusto e del sarcasmo di Jarvis Cocker: ultimo grande rappresentante della Britishness.
Le sue giacche, i suoi occhiali, la sua magrezza e i suoi gesti sono immortali.
Ma lui è ancora vivo.
Emozionante.
8/10
2 commenti:
Sono rimasto rapito dalla tua recensione. Ora ho in cuffia il disco di Jarvis.
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