Ne ero rimasto molto deluso durante i primi ascolti. Non mi sono arreso sino a quando la settimana scorsa l'ho visto alla BBC ospite al Later with Jools Holland. Nella sua esibizione ho ritrovato l'inimitabile personalità di sempre. Quella dell'uomo che ha firmato "Common People", che ha invaso il palco di Michael Jackson durante i Brits, che ha celebrato il momentum del britpop a Glastonbury 1995.
Dopo le folle avrebbero cantato all'unisono solo per i Coldplay (sigh!).
Ho dato volume a Jarvis. Più volume. Ancora di più. La presenza di Richard Hawley mi è parsa meno invadente e l'influenza parigina, attuale residenza del nostro chic-hero, meno pericolosa. Ho sentito le atmosfere dei Pulp (c'è pure Mackey). Ho iniziato ad affezionarmici e ho capito che dopo tante tribolazioni questo è il miglior disco che Jarvis Cocker poteva produrre da solista. Nè nostalgico nè fastidiosamente maturo.
L'iniziale "Don't Let Him Waste You Time" è più efficace che nella versione di Nancy Sinatra per cui l'aveva scritta. "Black Magic" e "Fat Children" sono glam rock quanto Jarvis non era mai stato prima.
Poi, da "From A to I" (from Auschwitz to Ipswitch) a "Quantum Theory", il disco diventa più intimo e delicato. Meno facile, in quella parte che mi era inizialmente risultata deludente.
E' là che si nasconde l'altra parte del gusto e del sarcasmo di Jarvis Cocker: ultimo grande rappresentante della Britishness.
Le sue giacche, i suoi occhiali, la sua magrezza e i suoi gesti sono immortali.
Ma lui è ancora vivo.
Emozionante.
8/10
2 commenti:
Sono rimasto rapito dalla tua recensione. Ora ho in cuffia il disco di Jarvis.
E qual è la tua opinione?
Posta un commento